I will begin with a statement that I know today risks being seen as outdated: the design studio is and must continue to be the “backbone” of architectural studies. […] Not even the recent reform of the degree classes introduced by Ministerial Decrees no. 1648 and no. 1649, respectively for bachelor’s and master’s degrees, in 2023, risks undermining this principle. The much-anticipated flexibility and interdisciplinarity – meant to be achieved by reducing the constraints on credits assigned to various disciplinary fields – fortunately clash, in our case, with the need to maintain consistency with what is laid out in the aforementioned EU regulations. The result is that, in practice, aside from a few details, such as those related to the internal balances within the macro-area of architectural design, the new tables largely overlap with the previous ones.
However, there is a problem that could perhaps be described as one of “perception”, but upon closer inspection is more profound. The European constraint on the percentage of studio-based teaching in degree programs aimed at training architects has led universities—faced with the impossibility of significantly modifying the positioning of scientific-disciplinary sectors—to resolve the issue by extending the studio teaching model to many disciplines. Moreover, many of these disciplines have over time requested and mostly obtained the inclusion of the word project in the titles of their courses. Recently, with the shift to GSDs (scientific-disciplinary groups), not only have sector descriptions but sometimes even their names been modified in this direction.
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In this context, it is therefore not surprising that young students are not always able to find their bearings and understand the differences.
If this is the analysis, I believe it is extremely difficult to provide “recipes”. In every school, there are traditions, balances, and – why not – different positions of power that make it more or less possible to move toward a clarification of the central role of architectural design in the curricula of architecture degree programs.
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What do we think the role of the architect – the person we are educating – is in society? Well, paraphrasing the title of a book by Marco Biraghi, I still believe that the architect must above all be an intellectual, and that, especially when facing the complexity of our time, specialisms that observe reality in a fragmented manner are not the solution. Against all tendencies to transform universities into vocational schools—and with some justified concern about the ongoing discussions around qualifying degrees—I believe the task of the university remains, to paraphrase Edgar Morin (who in turn cites Montaigne), not to fill “well-stuffed heads”, but to shape “well-made heads”, capable of reading complexity and adapting to the speed of change.
At this point, I would pose a question: is a good study program enough to achieve our goals? This conclusion is not meant to be pessimistic, as I have strong faith in the university institution. However, right now it must show its capacity to ask itself deeper questions. The question could be framed as follows: do our schools aim to educate architects who meet market demands, or figures still capable of “political” action, who do not fall into the trap of a hyperrealistic acknowledgment of reality? And even less – and this is a statement – the School should not adapt to this hyperrealism by responding uncritically to external demands, thereby undermining the original and profound role and meaning of the universi cives.
Many dislike the term “generalist architect”. But the capacity for general vision across the fragmented domains of architecture today belongs to our discipline, which indeed cu-pone and is, in this sense, its necessary “specialism” – for the School and for the world.
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La capacità di visione (generale) come necessario specialismo
Partirò con un’affermazione che so oggi rischiare di essere intesa come di retroguardia: il laboratorio di progettazione è e deve continuare a essere la “spina dorsale” degli studi di architettura. […] Neppure la recente riforma delle classi di laurea di cui ai decreti ministeriali n. 1648 e n. 1649, rispettivamente per le lauree e le lauree magistrali, del 2023, rischia di intaccare questo principio poiché le tanto auspicate flessibilità e interdisciplinarità, da realizzarsi attraverso lo strumento della riduzione dei vincoli relativi ai crediti da assegnare ai vari ambiti disciplinari, si scontrano, per fortuna, nel nostro caso con la necessità di mantenere la coerenza, nei corsi regolati dalle normative dell’Unione Europea, con quanto nelle citate norme contenuto. Il risultato è che, di fatto, salvo alcuni dettagli legati ad esempio agli equilibri interni al macro-settore della progettazione architettonica, le nuove tabelle siano in buona misura sovrapponibili alle precedenti.
Esiste però un problema che si potrebbe forse definire di “percezione”, ma a ben guardare è più profondo. Il vincolo europeo sulla percentuale di didattica laboratoriale nei corsi di laurea finalizzati alla formazione dell’architetto ha spinto le università a risolvere la questione, nell’impossibilità di lavorare in maniera significativa sui posizionamenti dei settori scientifico-disciplinari, estendendo la modalità didattica del laboratorio a molte discipline che, in più, hanno nel tempo chiesto e per lo più ottenuto, nella titolazione di molti loro insegnamenti, l’introduzione della parola progetto e di recente, nel passaggio ai GSD (gruppi scientifico disciplinari), non solo le declaratorie dei settori ma talvolta anche le loro denominazioni sono state modificate in tal senso.
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In questo quadro, non sorprende quindi che i giovani allievi non sempre siano in grado di orientarsi e comprendere le differenze.
Se questa è l’analisi, credo sia estremamente difficile fornire “ricette”. In ogni scuola esistono tradizioni, equilibri e, perché no, anche posizioni di forza differenti che rendono più o meno possibile fare operazioni nella direzione di una chiarificazione del ruolo centrale della progettazione architettonica negli ordinamenti dei corsi di laurea in Architettura.
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Quale pensiamo che sia il ruolo dell’architetto, cioè di colui che stiamo formando, nella società? Ecco io, parafrasando il titolo di un libro di Marco Biraghi, credo ancora che l’architetto debba essere innanzitutto un intellettuale e che, proprio di fronte alla complessità del nostro tempo, gli specialismi, che osservano la realtà in forma disgiuntiva, non siano la soluzione. Contro ogni tendenza a trasformare le università in scuole professionali, e con qualche motivata perplessità oltre che preoccupazione per quanto si sta da un po’ discutendo a proposito delle lauree abilitanti, credo che il compito della università resti, parafrasando Edgar Morin, che a sua volta cita Montaigne, formare, piuttosto che «teste ben piene», «teste ben fatte» e quindi capaci di leggere la complessità e adattarsi alla velocità del cambiamento.
A questo punto, porrei una domanda: è sufficiente un buon progetto di corso di studio per raggiungere i nostri obiettivi? La chiusura non vuole essere pessimista, avendo io una salda fiducia nella istituzione universitaria che però, in questo momento, deve dimostrare la capacità di porsi un’interrogazione più profonda. La domanda potrebbe essere così formulata: le nostre scuole intendono formare architetti che rispondano alle richieste del mercato o figure ancora capaci di un’azione “politica” che non cada nel tranello di un iperrealismo constatativo della realtà? E ancora meno, e stavolta si tratta di un’affermazione, all’iperrealismo constatativo deve adattarsi la Scuola rispondendo a-criticamente alle richieste e svilendo in tal modo il ruolo e il senso, originario e profondo, della universi cives.
Non piace a molti la definizione di “architetto generalista”. Ma la capacità di visione generale sui frammentati ambiti dell’architettura oggi appartiene alla nostra disciplina che infatti cum-pone ed è, in tal senso, il suo necessario, alla Scuola e al mondo, “specialismo”.
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Federica Visconti – Associate Professor, Dipartimento di Architeettura, Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
![Le scuole sono cominciate con un uomo sotto a un albero, che non sapeva di essere un maestro, e che esponeva ciò che aveva compreso ad alcuni altri, che non sapevano di essere degli studenti. [...] Presto si eressero gli spazi necessari e apparvero le prime scuole. Louis I. Kahn](https://www.dt2.polimi.it/wp-content/uploads/2025/02/Visconti_Immagine-195x300.jpg)