Luigiemanuele Amabile in conversation with Mikael Bergquist
LA: What issues in the built and natural environment should an architectural design studio address today?
MB: Architectural education needs to address many questions. Social: How should we live together?; questions about technical issues and material; sustainability and adoptability; how to work with the existing. We must also constantly address the key questions and the secret knowledge of our profession like scale, how to make a good plan, what is the right size of a window? How do you move through an apartment?
LA: How should a design studio be organized and what tools should it use to achieve these goals?
MB: Not too many students but not too few either. Ideal is at max. twenty students. Then you have a group that works well together and can learn from each other. We always let the students work in pairs. We find it really helpful for the students and beneficial for their work and the process.
LA: How much does the physical space in which the design studio takes place influence the pedagogical experience, and why?
MB: I think it is crucial to have a dedicated space for the studio. A physical space where you can work and keep models and materials. A place that the studio adopts and becomes part of the forming of a culture.
LA: Can the study of architecture as “knowledge of form” still be considered a discipline in its own right?
MB: I think all education needs to relate to reality in some way. That does not mean that students should try to simulate reality altogether. The “knowledge of form” can be part of the education but needs to be informed be other knowledge as well.
LA: What do we inherit from the schools of thought that shaped the disciplinary teaching of architecture in the last century? Are they still relevant today in such a different and profoundly changed context?
MB: The certainty and well-developed method of modernism and its later evolution are not relevant ways of working today but you still need some guidelines and a method when working. We strive for an experimental, open method that nevertheless is rigorous and precise in certain aspects.
LA: How significant is the student’s freedom to self-govern their own learning process in architecture in pedagogical terms?
MB: I think it is necessary to give a quite strict framework for the students. To give explicate requirements for what material to produce (drawings, models, images and so on). Then it is also crucial to let go of the students so they can feel a certain freedom and be able to develop their own language and ways of working.
LA: Architectural education now shapes not only architects as practitioners and designers, but also other spatial practices that move across borders with other disciplines, such as the hard sciences, anthropology or art. What role do you think architectural design education, as a discipline in its own right, with its tools and codes, can play in shaping these hybrid figures? And what is their specificity?
MB: I am sure a lot will happen in this field in the coming years. Nevertheless, I think it is crucial that we still treasure the unique competence of architects when it comes to measurements, height of spaces, organization and slowing plan and section. There is no other discipline that has this knowledge that architects have. On the other hand, we must also be opened to new fields and adapt to a changing society. Also, when it comes to question of technical aspects such as building material and climate. There are many new disciplines that borders on architecture where we need to negotiate and still claim our own knowledge and position as specialists.
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Precisione e sperimentazione nel progetto del laboratorio
LA: Quali questioni relative al contesto naturale e all’ambiente costruito vanno affrontate in un laboratorio di progettazione architettonica oggi?
MB: L’insegnamento dell’architettura si trova ad affrontare una molteplicità di questioni. In ambito sociale, la questione fondamentale è: come possiamo e vogliamo vivere insieme? Tuttavia, è necessario evidenziare anche problematiche di natura tecnica e le questioni legate ai materiali, nonché legate alla sostenibilità e al riuso, e al rapporto con il patrimonio costruito esistente. Inoltre, è fondamentale interrogarsi costantemente sui principi fondamentali e sul sapere tacito interno alla nostra disciplina, come il saper gestire le scale di progetto, la qualità del disegno architettonico, saper scegliere le dimensioni appropriate di una finestra o saper gestire le modalità di movimento all’interno di una casa.
LA: Qual è l’aspetto che considera essenziale per la buona riuscita di un laboratorio di progettazione architettonica? Quali strumenti andrebbero impiegati per raggiungere gli obiettivi prefissati all’inizio?
MB: Trovo importante gestire la comunità di studenti all’interno del laboratorio. Ad esempio, gli studenti dovranno essere né troppi né troppo pochi. Il numero ottimale per corso si aggira intorno alle venti unità. Tale dimensione consente l’instaurarsi di una dinamica collaborativa efficace, nella quale gli studenti possano apprendere l’uno dall’altro, reciprocamente. L’approccio didattico che propongo incoraggia il lavoro di coppia. Credo sia una modalità di lavoro particolarmente vantaggiosa per gli studenti, apportando benefici tangibili sia al progetto che al processo di apprendimento.
LA: In che misura lo spazio fisico in cui si svolge il laboratorio influenza l’esperienza pedagogica e per quali motivi?
MB: Ritengo che sia fondamentale disporre di uno spazio dedicato esclusivamente al laboratorio. Un ambiente fisico destinato alla progettazione, alla conservazione di modelli fisici e di campioni di materiali. Uno spazio che viene progressivamente abitato e che contribuisce alla formazione di una cultura della cura e del progetto.
LA: È ancora possibile intendere l’architettura come disciplina autonoma in un mondo in cui gli ambiti del sapere sono strettamente collegati e i cui confini stanno progressivamente scomparendo?
MB: Ritengo che ogni forma di apprendimento debba mantenere un rapporto, anche indiretto, con la realtà. Tale affermazione non implica che gli studenti di architettura debbano semplicemente imitarla o simularla. La conoscenza della forma architettonica può certamente costituire una componente fondamentale dell’insegnamento, ma deve essere integrata da altri saperi.
LA: Cosa ereditiamo scuole di pensiero che hanno contribuito a strutturare l’insegnamento disciplinare dell’architettura nel secolo scorso? Tali elementi conservano ancora la loro rilevanza nell’attuale contesto, caratterizzato da profonde trasformazioni?
MB: La sicurezza nella metodologia e l’apparato teorico ben strutturato del modernismo e delle sue evoluzioni successive non rappresentano più un paradigma operativo attuale. Tuttavia, risulta imprescindibile disporre di alcune linee guida e di un metodo di progetto. Il nostro approccio è di natura sperimentale, aperta, pur mantenendo rigore e precisione in determinati ambiti.
LA: In quale misura la facoltà dello studente di autogovernare il proprio percorso formativo assume rilevanza pedagogica nel contesto dell’architettura?
MB: È necessario fornire agli studenti un quadro di riferimento piuttosto preciso. È fondamentale determinare con chiarezza i materiali di progetto da produrre, inclusi disegni, modelli, immagini e altri esiti simili. Inoltre, è fondamentale concedere agli studenti uno spazio di movimento autonomo per permettere lo sviluppo di un linguaggio e di modalità operative proprie.
LA: L’insegnamento dell’architettura nella contemporaneità non si limita più alla formazione di progettisti o professionisti, ma si estende alla produzione di pratiche spaziali che intersecano altre discipline, tra cui le scienze dure, l’antropologia e l’arte. Quale ruolo può svolgere oggi l’educazione progettuale architettonica, come disciplina autonoma dotata di propri strumenti e codici, nella formazione di queste figure ibride?
MB: Sono convinto che nei prossimi anni si registreranno sviluppi significativi in tale direzione. Tuttavia, è fondamentale preservare la competenza specifica dell’architetto, in merito alla capacità di gestire la scala del progetto, la sua misura, le altezze, l’organizzazione dello spazio, l’articolazione di piante e sezioni. Nessun’altra disciplina può vantare una simile forma di conoscenza. Contemporaneamente, è essenziale mantenere una posizione di apertura verso nuove discipline e saper adattarsi a una società in evoluzione, anche in termini tecnici, come nel caso dei materiali da costruzione o delle problematiche climatiche. Esistono molteplici discipline emergenti ai margini dell’architettura con cui è necessario negoziare, senza tuttavia rinunciare a rivendicare la propria competenza e il proprio ruolo di specialisti.
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Luigiemanuele Amabile – Architect and PhD, research fellow for the project DT2 (UdR Università degli Studi di Napoli “Federico II”).
Mikael Bergquist – Architect and lecturer at the KTH Royal Institute of Technology.










